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mercoledì 30 marzo 2011

1- La Sirenetta Astrid


1- La Sirenetta Astrid
...
C’era una volta una bambina di nome Astrid. 

Astrid amava tanto il mare, e quando era in acqua 
si sentiva perfettamente felice, come se fosse nata per nuotare.
Tutte le sere la mamma le faceva il bagnetto, e ad Astrid piaceva tanto fare splash con le manine e i piedini, e spruzzava acqua dappertutto! Mentre giocava con i suoi giocattoli, e mentre la mamma le lavava i capelli, Astrid sognava...
Sognava di tuffarsi nella vasca da bagno, gli occhi chiusi stretti stretti, e ritrovarsi nell’oceano...Nel suo sogno,  Astrid aveva lunghi capelli verde-blu intrecciati di alghe, e una coda argentea e luccicante. I suoi occhi brillavano come perle, e il suo sorriso era come il riflesso del sole sulle onde del mare...nuotava e si tuffava fra la spuma, si sedeva ad a prendere il sole sulle rocce, giocava coi pesciolini argentati, finche’...
“E’ ora di asciugarsi!” diceva la mamma. E il sogno svaniva.
Una sera, dopo il bagno, quando era a letto, tutta pulita e profumata, Astrid decise di esprimere un desiderio: “Spirito del mare...trasformami in una sirenetta, e fammi nuotare!” mormoro’ nell’oscurita’.
 Nessuno rispose.
“Spirito del mare...trasformami in una sirena, e fammi nuotare!” ripete’, stavolta un po’ piu’ forte.
“Tutto bene, Astrid?” la mamma era entrata nella stanza. “Ti ho sentito chiamare...”
“Tutto bene mamma!” rispose Astrid. Per un pelo!
La mamma chiuse la porta, e Astrid fece per cercare di addormentarsi, quando...vide uno strano riflesso sulla parete della sua stanza. Come la stanza fosse piena d’acqua.
“Sto sognando” penso’, e chiuse gli occhi, addormentandosi in fretta. Astrid penso’ che nessuno l’avesse sentita, e che il suo sogno sarebbe rimasto tale, solo un sogno...
La sera dopo, come sempre, la mamma riempi’ la vasca per il bagneto di Astrid.
“Amore, il bagno e’ pronto!”
“Arrivo!” Astrid corse in bagno, fece per infilare una gamba nella vasca quando...
Qualcosa di soffice le tocco’ il piede. Astrid si fermo’ a mezz’aria, e guardo’ nella vasca. Una spugnetta? O la mamma aveva fatto cadere l’asciugamano?
No. Era un pesce. Un pesciolino argentato...
Astrid rimase senza parole. Guardo’ subito la sua mamma, ma lei sembrava non aver notato nulla. Emozionata, Astrid entro’ nella vasca. Avrebbe fatto il bagno con un pesciolino nella vasca!
Il pesciolino nuotava qua e la’, mentre lei se ne stava seduta con un gran sorriso sulle labbra. Venne il momento di bagnarsi i capelli. Astrid chiuse gli occhi forte forte, e si immerse...
E senti’ il pesciolino che le solleticava il naso. D’istinto, apri’ gli occhi...
Non poteva crederci! Non vedeva piu’ la vasca da bagno e le sue pareti bianche, ma l’oceano, vasto, infinito, e meravigliosamente blu. Non uno, ma mille pesciolini di mille colori nuotavano attorno a lei, e una foresta di alghe ondeggiava sul fondo, come se stesse danzando.
...
Qualcuno l’aveva sentita! Lo spirito del mare l’aveva trasformata in una sirenetta. Rise felice, dimenando la sua coda argentea e contemplando i suoi lunghi capelli che danzavano fra le onde.
Astrid fece una piroetta nell’acqua, e si accorse che i suoi piedi e le sue gambe erano scomparse, e al loro posto c’era una meravigliosa coda argentea, come l’aveva sempre sognata. Si passo’ una mano fra i capelli: erano verdi, e intrecciati di alghe!

lunedì 28 marzo 2011

Aiko e il Vulcano

C’era una volta una bimba di nome Aiko.
Aiko aveva i capelli neri e setosi come l’ala di un corvo, e gli occhi neri come la notte. Viveva in un villaggio di pescatori sulla costa nord del Giappone, con sua mamma, suo papa’, e le sue sorelline Karin e Kyoko.
Aiko amava molto il suo villaggio. Le piaceva salire sulla collina e guardare le case di legno arroccate attorno alla piccola spiaggia, e le barche dei pescatori piccole piccole, in lontananza, come pesciolini d’argento.
Una notte, Aiko fece un brutto sogno. Sogno’ che uno spirito di fuoco sarebbe sorto dal vulcano e avrebbe fatto tremare la terra, eche uno spirito maligno sarebbe sorto dal mare e avrebbe ingoiato il suo villaggio!
Si sveglio’ spaventata e in lacrime. La luna splendeva oltre le porte-finestre di carta, e le sue sorelline respiravano piano, addormentate. Aiko si inginocchio’ sul suo tatami, turbata, non osando riaddormentarsi.
Quando infine il sonno la colse di nuovo, un gattino le apparse in sogno – era un gatto della buona fortuna, con la zampina alzata e un campanello al collo.
“Aiko” disse il gatto. “Devi placare gli spiriti del mare e del vulcano, solo cosi’ il nostro villaggio sopravvivera’!”
“Ma come posso fare?” rispose Aiko. “Sono solo una bambina!”
“Sara’ la tua innocenza a placare gli spiriti infuriati. Devi preparare due doni, qualcosa fatto con le tue mani nel quale metterai tutto il tuo amore, tutte le tue abilita’. Devi portare questi doni al vulcano e al mare, e allora forse ci sara’ ancora speranza.” E il gattino dalla zampa alzata spari’.
Aiko si sveglio’ all’alba. Racconto’ il sogno a Karin e Kyoko, e poi alla sua mamma, e tutte dissero: “ti aiuteremo!” Il papa’ di Aiko era gia’ in mare che pescava.
Aiko, Karin, Kyoko e la loro mamma si misero al lavoro. Ricamarono due kimono con fili evanescenti e delicatissimi, uno, per il vulcano, con immagini di fuoco e fiamme, e uno, per il mare, con immagini di onde e spuma.
Prepararono due bento, pieni di delicatezze che erano addirittura troppo belle per essere mangiate.
Dipinsero due quadri, ciascuno con la parola “vita” scritta in inchiostro nero e decorata con meravigliose illustrazioni di fiori di ciliegio e donne dai kimono colorati.
Infine, intrecciarono due canestri con la canne flessibili che crescevano vicino al lago, e in ciascuno di essi misero un kimono, un bento e un quadro.
Karin, Kyoko e la mamma abbracciarono Aiko.
“Buona fortuna!” dissero.
Aiko parti’. Il vulcano era alto e ripido. Molte volte cadde, facendosi male ai piedini nei sandali di legno, ma non desistette. Si arrampico’ fino alla cima, un cratere nero e minaccioso da cui uscivano getti di vapore.
“Spirito del vulcano! Risparmiaci!” chiamo’, e getto’ il primo canestro nel cratere. Ci fu un fremito, un getto di vapore piu’ forte degli altri, e poi piu’ nulla.
Con sollievo, Aiko scese fino al mare. Le onde erano verdi e blu sotto al sole d’inizio primavera, e le lambivano i piedi.
“Spirito del mare...” sussurro’ “Risparmiaci!”
E svuoto’ il contenuto del canestro nell’acqua scintillante.
Fu allora che un pesce argenteo si sollevo’ dalle onde.
“Ci hai salvato, Aiko! Il nostro villaggio verra’ risparmiato!”
Aiko sorrise felice. Lo spirito del vulcano e del mare erano stati placati, e il villaggio avrebbe continuato a prosperare.

Daniela Sacerdoti, Glasgow, Marzo 2011.

venerdì 18 marzo 2011

Una fiabetta per il Giappone: se desiderate riceverla, fate una donazione, piccola o grande non importa, ad un'organizzazione di vostra scelta - ad esempio Save the Children - e mandatemi un'email dicendo di aver aiutato il Giappone. Vi spediro' Aiko e il Vulcano.

Aiko e il Vulcano

C’era una volta una bimba di nome Aiko.
Aiko aveva i capelli neri e setosi come l’ala di un corvo, e gli occhi neri come la notte. Viveva in un villaggio di pescatori sulla costa nord del Giappone, con sua mamma, suo papa’, e le sue sorelline Karin e Kyoko.
Aiko amava molto il suo villaggio. Le piaceva salire sulla collina e guardare le case di legno arroccate attorno alla piccola spiaggia, e le barche dei pescatori piccole piccole, in lontananza, come pesciolini d’argento.
Una notte, Aiko fece un brutto sogno. Sogno’ che uno spirito di fuoco sarebbe sorto dal vulcano e avrebbe fatto tremare la terra, eche uno spirito maligno sarebbe sorto dal mare e avrebbe ingoiato il suo villaggio...

Per leggere l'intera storia, donate generosamente per il Giappone, mandatemi un'email, e ve la spediro' subito! Save the Children

giovedì 10 marzo 2011

Chiara e la stella cadente

La luna brillava bianca sulla spiaggia,  il mare cullava la sabbia, e le stelle di una notte chiara illuminavano il mio musetto color miele. La mia padroncina mi aveva portato a fare una passeggiata sulla spiaggia, in quella notte d’estate.
Mi bagnai le zampe nell’acqua salata, mentre Chiara e la mamma camminavano piano, mano nella mano.
Improvvisamente, un bagliore, oltre gli scogli. Mai, nella mia vita di cane, avevo mai visto una luce cosi’ splendida, cosi’ pura. Abbaiai, e mi girai verso la mia padroncina e la mamma, per dire loro cosa avevo visto; ma Chiaretta aveva perso una scarpina, e la mamma era chinata a rimettergliela. Non avevano visto la luce brillare attraverso il cielo, e cadere dietro agli scogli.
Dovevo andare a vedere cos’era. Decisi di correre via, andare a controllare, e tornare dopo qualche minuto – non perdo mai di vista la mia padroncina, casomai abbia bisogno di me.
“Denver! Dove vai?” sentii la mamma che mi chiamava. Ma continuai a correre lungo la spiaggia, oltre gli scogli, verso il bagliore che ora non vedevo piu’. Saltai sulle rocce nere, di scoglio in scoglio, stando attento a non scivolare sulle alghe. La luce della luna si raccoglieva in pozze argentee fra le rocce, e il vento di mare mi arruffava la pelliccia.
Improvvisamente, la vidi: una gemma bianca, che brillava intermittente, come una lucciola, seminascosta dalla sabbia.
Mi avvicinai, e feci cio’ che qualsiasi cane farebbe: l’annusai. Mmmm. Sapeva di stella.
Scostai la sabbia che la ricopriva. Il mio olfatto aveva indovinato: era una stella, una stella cadente.
Saltellai e abbaiai di gioia. Il regalo perfetto per Chiara, la mia padroncina, la mia migliore amica.
“Denver!” sentii che mi chiamavano. Non c’era tempo da perdere. Presi la stellina in bocca, e corsi indietro.
Stavo saltando sulle rocce scivolose, quando inciampai, e la stellina cadde in mare! La vidi brillare nelle acque oscure, fra le onde. Senza pensarci due volte, mi tuffai in acqua.
Sentii la mamma che mi chiamava, una, due volte – ma dovevo recuperare la stella per Chiara.
Eccola – sul fondo sabbioso. Riuscii a stento a prenderla in bocca, ingoiando un po’ d’acqua salata, e nuotai in superficie. Vidi la testolina di Chiara che spuntava da oltre le rocce.
Abbaiai e corsi verso di loro.
“Denver, sei tutto bagnato!”
“BAU!” era il modo di dire “guarda cos’ho per te!”. E lasciai cadere la stella sulla sabbia.
“Denver! E’ bellissima!” disse la mamma.
“Oooh...” disse Chiaretta.
“Bau.” Che vuol dire “E’ per te, amica del mio cuore.”
Chiara la prese in mano. Luccicava nelle sue manine, e si rifletteva sul suo viso, cosi’ che anche lei sembrava una stellina caduta a donarci la sua luce.
“L’hai presa per me! Sei il mio eroe!” disse Chiara con i suoi occhioni.
Mi sentii orgoglioso, come il cane piu’ coraggioso della terra.
Quella notte, Chiara dormi’ con la stella fra le braccia, e la sua luce si poteva vedere da miglia intorno: una stella con una stella in braccio.

Daniela, Glasgow, Marzo 2011

mercoledì 9 marzo 2011

Giulia attende

Si stava bene, sulle nuvole, assieme a tutti gli altri bambini. Stavamo tutti attendendo una mamma e un papa’ che ci aiutassero a venire al mondo. Nel frattempo, aspettavamo il nostro turno.
Mi divertivo, lassu’... potevo giocare a nascondino, saltellare di nuvola in nuvola come se stessi rimbalzando su zucchero filato, giocare a palle di nuvola.
 Ogni tanto uno di noi si fermava un attimo, ascoltava un richiamo che sentiva solo lui, e poi puf! Saltava giu’ dalle nuvole, verso un luogo sconosciuto. La sua mamma e il suo papa’ l’avevano chiamato.
Un giorno stavo giocando a palle di nuvola con i miei amici, quando sentii quel richiamo. E’ difficile da spiegare: era come un soffio gentile sulle mie spalle, che mi diceva di saltare...
E saltai, giu’, giu’, verso la terra, in un volo delicato, come un seme di papavero.
Cercai di aguzzare lo sguardo per vedere dove stavo cadendo, ma riuscivo solo a scorgere le cime degli alberi...caddi fra le fronde, delicatamente, rimbalzando di ramo in ramo, mentre un profumo buonissimo riempiva le mie narici.
Fluttuai per un po’, un invisibile spiritello,  e poi mi sedetti su un ramo.
“Mmmm...che profumo meraviglioso...” dissi, fra me e me.
“Sono gli eucalipti. Non solo profumano, ma sono anche buonissimi!” disse una voce. Mi guardai in giro per vedere da dove provenisse...
Nel ramo accanto al mio c’era un animaletto grigio, dal naso nero, le orecchie tonde, e gli occhi neri e luminosi. Stava masticando una foglia di eucalipto.
“Cosa sei?”
“Un koala. E tu?”
“Una quasi-bambina. Sto cercando la mia mamma e il mio papa’.”
“Mentre aspetti, se ti va, ti faccio compagnia.” Disse il koala.
“Volentieri! Giochiamo a nascondino?”
Giocammo per un po’, saltando fra i rami, ridendo e chiacchierando, finche’ una voce ci interruppe.
“Guarda! Un koala!”
Guardai giu’. Era una donna, e aveva un viso dolce, un viso di mamma.
“Ah si, eccolo! Ora faccio una foto!” Rispose l’uomo che era accanto a lei. Mi sembro’ forte e coraggioso. Il papa’ perfetto.
“Koala! Koala! Credo siano loro!”
“La tua mamma e il tuo papa’?”
“Si!”
“Saverio, hai sentito una voce?” disse la donna, guardandosi in giro.
“Credo di si...forse dei turisti nel bosco...” rispose l’uomo.
“Forse...” disse la donna, e guardo’ dritto verso di me, fra le fronde. Non poteva vedermi, ovviamente, ma sbatte’ le palpebre, una, due volte...Ci guardammo per un lungo istante, e mi vidi rispecchiata nei suoi occhi, come se fossimo legate da sempre...
“E’ lei” mi dissi. Ero sicura.
Chiusi gli occhi e saltai, per la seconda volta quel giorno, e la mia animuccia senza corpo si fuse con la sua, una scintilla di vita nella sua pancia, di cui non sospettava ancora l’esistenza. Eppure, anche se non sapeva ancora di me, vidi che le brillavano gli occhi, come se avesse indovinato che la sua vita non sarebbe mai piu’ stata la stessa. Sentivo che gia’ mi volevano bene...
Cominciai a crescere, raggomitolata al caldo e al buio. Le voci della mia mamma e del mio papa’, dei nonni, dei nostri amici mi facevano compagnia.
Venne il momento di nascere, e rivedere i miei genitori – e questa volta anche loro potevano vedere me!
Non sapranno mai che li avevo guardati, seduta sull’eucalipto, fra i koala – uno spirito ancora senza corpo, la quasi-bambina alla ricerca di una mamma e di un papa’. Avevo scelto loro, e loro avevano scelto me, e ci eravamo legati in un amore senza fine...e in quel momento la quasi-bambina era diventata Giulia, la loro piccola Giulia.

Daniela Sacerdoti, Glasgow, Marzo 2011

martedì 8 marzo 2011

Mattia e l’isola degli animali
 Una storia per un bimbo che ama gli animali e farsi il bagnetto...

C’era una volta un bambino di nome Mattia. Mattia viveva con la sua mamma e il suo papa’ in una casa allegra e piena d’amore. Gli piaceva particolarmente la sua stanza, che aveva un’arca di Noe’ dipinta sul muro.
Ogni sera, chiudendo gli occhi, Mattia lanciava un’ultima occhiata all’arca di Noe’ per salutare i suoi animali.
“Buonanotte, giraffa. Buonanotte tartaruga. Buonanotte elefante. Buonanotte zebra. Buonanotte pellicano...” diceva fra se’ e se’ nella lingua magica dei bambini, quella che anche gli animali, e perfino gli oggetti inanimati, sanno capire.
La notte prima del suo compleanno, il 3o Maggio, Mattia se ne stava tranquillo e calduccio nel suo lettino. ““Buonanotte, giraffa. Buonanotte tartaruga. Buonanotte elefante...” comincio’ a dire.
“Buonanotte Mattia!” rispose la giraffa.
“Buonanotte Mattia!” rispose l’elefante.
“Buonanotte Mattia!” rispose la zebra.
Mattia si mise a sedere nel suo lettino. Era stupito. Gli animali non avevano mai parlato, prima di allora. Ma essendo un bambino saggio, sapeva che nel mondo lo aspettavano tante sorprese e tanti misteri, e non si aspettava che le cose fossero sempre quello che sembravano.
“Mattia, vuoi venire con noi nell’isola degli animali? Ci andiamo ogni notte...”disse il pellicano.
“Si! Vengo con voi!” rispose Mattia, nella lingua dei bambini.
“Allora andiamo!” gli animali saltarono giu’ dal muro, uno ad uno. L’elefante prese Mattia delicatamente con la sua proboscide, e se lo mise in groppa. Andarono tutti...in bagno.
“Facciamo il bagnetto?” chiese Mattia, che era felice alla prospettiva di infilarsi nella vasca con tutti quegli animali. Altro che giocattolini di gomma!
“In un certo senso...” rispose la giraffa,  e apri’ i rubinetti. L’acqua comincio’ a scorrere, nella vasca e sul pavimento, finche’ il bagnetto si trasformo’ in un mare, e la barchetta-giocattolo che giaceva sul fondo della vasca si trasformo’ in una barca vera.
Mattia e gli animali saltarono sulla barca, e navigarono fuori dalla finestra, nella notte, su un mare verde e blu. Dopo un po’, Mattia vide un’isola all’orizzonte.
“Ecco!  Quella e’ l’isola degli animali!”
L’isola era stupenda. La spiaggia bianca, gli alberi rigogliosi, e tanti, tanti animali. C’erano pappagalli, percore, gatti e farfalle; leopardi, armadilli, scimmie e cagnolini; delfini, mucche, caribu’ e cavalli. Tutti schierati sulla spiaggia ad accogliere Mattia.
Il caribu’ aveva una corona attorno al collo, e si avvicino’ a Mattia, come inchinandosi, per dargliela.
“Buon compleanno, Mattia!” disse il caribu’.
Mattia prese la corona e se la mise in testa.
“Evviva il re degli animali!” esclamarono tutti.
Fecero una grande festa, con una torta a forma di arca di Noe’, e ballarono e giocarono a nascondino tutta la notte.
Venne l’ora di tornare a casa. Mattia e i suoi animali navigarono sul mare verde-blu, fino a tornare nella sua casetta. L’elefante rimise Mattia nel suo lettino, e gli animali saltarono sul muro, tornando ad essere parte dell’arca di Noe’.
La mamma era gia’ sveglia.
“Buon compleanno amore!” disse, sorridendo.
“Buon compleanno Mattia!” disse il papa’, che era appena entrato. “Ilaria...” aggiunse. “Guarda un po’ sul muro...Mi sembra che gli animali si siano mossi...”
“Ma no, che dici! Certo che no.” Rispose Ilaria.
Mattia sorrise. Dal muro, la giraffa strizzo’ un occhio, e l’elefante fece ciao con la proboscide.


Daniela Sacerdoti, Glasgow, Marzo 2011

lunedì 7 marzo 2011

Questa e' la prima recensione del servizio Una Storia per Te, scritta da Giovanna Cutuli (grazie Giovanna!):

"Sono stata indirizzata al blog di Daniela da una cara amica, che con me condivide idee e ideali. Per cui mi sono letteralmente fiondata sul sito. Ho letto le fiabe pubblicate e ne sono rimasta a dir poco affascinata. Ho deciso immediatamente di contattare Daniela per chiederle una fiaba per il mio bimbo che il 9 maggio compirà un anno. La risposta è stata immediata!!! Daniela, nonostante scriva tante fiabe, storie, libri e abbia due bimbi piccoli a cui badare è, non solo veloce, ma gentile e cortese! La facilità di pagamento e la chiarezza delle sue istruzioni mi hanno convinta a procedere all'istante. 
Daniela mi aveva assicurato che la storia sarebbe stata pronta in una settimana, e invece, con mio grande stupore, l'indomani mattina l'ho trovata nella mia mail.
Una storia molto bella, non mi vergogno di dire che mi sono venuti i lacrimoni di commozione.
Chiederò sicuramente a Daniela di inventare un'altra fiaba per il mio piccino... io adoro le fiabe, e chissà che non riesca pian piano a fare per lui una raccolta di fiabe personalizzate, e di sicuro la consiglierò alle mie amiche (come sto già facendo)."
E questa e' la storia  che le ho scritto, pubblicata con il suo permesso:

Alessandro e la nuvola-arcobaleno

C’era una volta un bambino di nome Alessandro.
Da quando era nato, Alessandro aveva portato tanta felicita’ alla sua mamma e al suo papa’, e a tutti quelli che lo conoscevano. E ogni giorno quella felicita’ cresceva, cresceva assieme a lui, e si raccoglieva in una nuvoletta multicolore sopra al tetto di casa sua.
Ogni volta che Alessandro sorrideva, una mini-nuvoletta di pura gioia usciva dal suo cuore, e saliva su, verso il cielo, dove andava a fondersi con la nuvola-arcobaleno.
Alessandro stava per compiere un anno. La nuvoletta multicolore era ormai bella grande, e fluttuava sulla casa di Alessandro come un arcobaleno tondo. Chiunque la vedesse non poteva fare a meno di sorridere.
Il giorno del suo compleanno la mamma e il papa’ organizzarono una bella festa. La loro casa era piena di felicita’ fino a scoppiare, e Alessandro si guardava in giro sorridendo.
La torta: puf! Una mini-nuvoletta usci’ dal cuore di Alessandro.
I regali: puf! Un’altra.
Le coccole dei nonni: puf, puf! Eccone due.
E la nuvola-arcobaleno sul tetto cresceva, cresceva silenziosamente. Ora la si poteva vedere anche dalle finestre.
Quando la festa fini’, e tutto fu di nuovo tranquillo, Alessandro, mamma e papa’ si sistemarono per la sera. Cena, bagnetto, pigiamino fresco e pulito – e poi il momento migliore della giornata, quello che Alessandro amava di piu’: le storie di papa’.
I genitori di Alessandro amavano tanto i libri, e conoscevano bene il potere delle storie; per questo desideravano donare la stessa passione al loro piccolino. Alessandro si gustava tutto di quei momenti: la voce tanto amata del papa’, le figure colorate che sembravano prendere vita davanti ai suoi occhi, e la sensazione del libro nelle sue manine, un magico oggetto che si prestava anche ad essere...assaggiato!
Quella sera, come quasi tutte le sere, il papa’ di Alessandro scelse un libro, e comincio’ a leggere. La nuvola-arcobaleno sul tetto comincio’ a fremere. Aveva ormai raggiunto la dimensione massima consentita alle nuvole-arcobaleno: un altro po’ di felicita’, e...
Alssandro sorrise: gli piaceva quel libro! Puf, una mini-nuvoletta.
Il papa’ sorrise: gli piaceva tanto il profumo dei capelli di suo figlio dopo il bagnetto! Puf, un’altra.
La mamma sorrise, a vederli cosi’, insieme: puf!
La nuvola-arcobaleno non resse piu’. Le ultime tre mini-nuvolette che erano andate a fondersi con essa l’avevano fatta andare oltre il limite! Fremette, fremette, e comincio’ a fischiare.
Alessandro, la mamma e il papa’ sentirono lo strano suono e si precipitarono fuori, a guardare cio’ che stava succedendo.
La nuvola-arcobaleno stava cantando piano, una canzone senza parole, e i suoi colori fluttuavano, si mescolavano e tornavano a separarsi, in una danza bellissima.
Per un attimo, la danza si fermo’, e tutto fu immobile: e poi, l’esplosione. Con un suono meraviglioso, come la prima nota di una sinfonia, la nuvola si frantumo’ in mille mini arcobaleni che inondarono la casa, il quartiere, e tutti quelli che si trovavano per le strade. Gli arcobaleni caddero nei giardini, sui tetti, nei vasi di gerani, sulle teste dei passanti. Si appesero alle grondaie, alle code dei cani, ai nasini dei bambini che guardavano all’insu’...
Tutta la citta’ fu un mare di colori.
Alessandro rideva e rideva, nel vedere la sua nuvola sparsa dappertutto. La mamma e il papa’ di Alessandro si presero la mano: era la celebrazione di un anno d’amore, un anno di gioia che li aveva uniti ancora di piu’.
Venne il momento di andare a letto. La mamma spazzo’ via con la mano l’arcobaleno che era entrato dalla finestra e si era posato sulla culla, e rimbocco’ le coperte attorno ad Alessandro. L’arcobaleno fluttuo’ nell’aria, riflettendosi nella luce del tramonto e riempiendo la stanza di colori.
A vedere tutti quei colori, Alessandro sorrise...
 Puf! Il primo pezzetto nella nuova nuvola arcobaleno volo’ fuori dalla finestra, e si ando’ a sistemare sopra al tetto, ad iniziare un altro anno di felicita’.

Daniela Sacerdoti, Glasgow, Marzo 2011
             


giovedì 3 marzo 2011

Gloria e la Fata

Scritta per la piccola Gloria, la figlia di Claudia
             
C’era una volta una bambina di nome Gloria. Gloria viveva in una casa nei boschi, in un posto pieno di fiori e di profumi, con una mamma e un papa’ che le volevano un bene immenso. La piccola Gloria aveva un fratello maggiore, di nome Leonardo, e una sorellina minore, di nome Chiara.
Gloria amava giocare con i suoi fratelli in giardino. La cosa migliore del mondo era quando la sua mamma e il suo papa’ si univano ai giochi, e lei sentiva la sua famiglia tutt’attorno a se’, come una calda coperta che la avvolgeva e la faceva sentire felice e sicura.
Ma a volte Gloria desiderava un po’ di tempo da sola in giardino, per sognare ed inventare storie.
Un giorno di primavera Gloria era seduta a gambe incrociate sull’erba, intrecciando una collana di margherite come le aveva insegnato sua mamma. Il resto della famiglia era in cucina, ma lei era sgattaiolata fuori per godersi il vento e il sole.
Stava canticchiando fra se’, quando senti’ che qualcosa le solleticava il viso.
Gloria si gratto’ una guancia.
 Sara’ un seme volante, o una farfalla, penso’.
Ma il solletico ricomincio’.
Sara’ una libellula, o una foglia portata via dal vento, si disse.
Una sagoma verde e dorata le passo’ davanti agli occhi. Gloria sbatte’ le palpebre, una due volte.
Sara’ un uccellino, o un fiore che vola nella brezza, si ripete’.
Ma la sagoma verde e dorata le giro’ attorno, una, due volte, e si poso’ sull’erba davanti ai suoi piedi, con grazia infinita.
Era una fatina, non piu’ grande della sua mano.
Gloria spalanco’gli occhi, ma non si mosse. Come tutti i bambini, non aveva paura dei misteri.
“Chi sei?”
La fatina volo’ fino al suo orecchio.
“Sono la fata delle margherite. Mi chiamo Isabella.”  Rispose la fata, con una vocina minuscola.
Gloria stese la mano, e la fata le si poso’ sul palmo.
“Come sei bella...” disse Gloria, guardando con ammirazione il vestito verde e dorato della fatina, e i suoi lunghi capelli biondi sciolti sulle minuscole spalle.
Isabella le volo’ di nuovo vicino all’orecchio.
“Anche tu!  Vuoi diventare una fata per un po’?”
Gloria annui’ allegramente.
Isabella comincio’ a volarle attorno, sempre piu’ velocemente, spargendole la polvere magica sui capelli, sulle spalle, sulle mani, sulle gambe...
Gloria chiuse gli occhi, e quando li riapri’, vide che stava volando. Era una fatina!
Indossava un vestito blu e argento, e i suoi lunghi capelli biondo-oro volavano nella brezza.
Isabella e Gloria trascorsero un’ora incantata a volare fra i fiori, divertendosi a coprire l’erba di polvere magica – Isabella di polvere dorata, e Gloria di polvere argentata.
“Gloria! Amore, vieni a fare merenda!”
La voce di mamma Claudia risuono’ in giardino.
“Isabella, devo andare. La mia mamma mi cerca.”
Isabella le volo’ di nuovo attorno, sempre piu’ veloce, e Gloria torno’ ad essere una bambina.
“Eccomi, mamma!”
“Gloria, cos’hai nei capelli?” chiese mamma Claudia accarezzandole la testa. Una pioggia di polvere dorata e argentata cadde sul pavimento.
“Ho incontrato una fata delle margherite!”
“Che bello, tesoro!” disse mamma Claudia, che non rideva mai ai racconti dei suoi bimbi. Per lei, la magia era cosa di tutti i giorni.
“Mi ha trasformato in una fata!” aggiunse Gloria.
“Tu sei la nostra fata” disse il papa’, togliendole un granello di polvere dorata dalla guancia.



Andrew e l’Armadio Magico
Scritta in occasione del  sesto compleanno di Andrew Foster
                                                                                                  
C'era una volta, e credo ci sia ancora, in un paese lontano lontano e un po' magico, chiamato Scozia. In Scozia il mare e' verde, e le colline sono viola. Chissa', forse un giorno lo vedrai.
Nel paese magico di Scozia, in un villaggio vicino al mare, viveva un bambino di nome Andrew. Andrew aveva ben quattro fratelli, e la sua casa non era mai silenziosa. I cinque fratelli Foster correvano, giocavano, chiacchieravano, si rincorrevano dal mattino alla sera. Andrew non era mai solo.
Ma la sera, quando l’oscurita’ avvolgeva la loro grande casa, e i suoi fratelli erano addormentati nei loro letti a castello, Andrew sapeva che era arrivato il suo momento.
Si alzava dal letto, piano piano perche’ la mamma non lo sentisse, e andava in punta di piedi fino alla camera degli ospiti. Nella camera degli ospiti c’era un letto, due comodini, e una specchiera. E fin qui, niente di strano.
Ma nella camera degli ospiti c’era anche qualcos’altro.
Un armadio.
Un armadio magico.
Ogni sera Andrew Foster apriva la porta dell’armadio e viveva una nuova avventura. Non sapeva mai dove si sarebbe trovato: la giungla, o il mare infestato di pirati, o un altro pianeta...ogni sera l’armadio era il portale a un mondo diverso.
Quella notte, Andrew apri’ l’armadio, piano piano, cercando di non farlo cigolare. Chissa’ cosa avrebbe visto, quella volta...
Voi che dite?
Una casa dei fantasmi? Marte? Un castello medievale? Una nave spaziale?
Niente di tutto questo.
Nell’armadio c’era un peluche, e basta. Un peluche enorme, ma pur sempre solo un peluche. Blu, tondo, un po’ fosforescente, appena un po’.
Andrew sospiro’ per la delusione.
“Mi dai una mano?”
Andrew scosse la testa. Il peluche parlava.
“Mi dai una mano ad uscire di qui? Ho fame!”
Andrew stese una mano, e acchiappo’ il peluche. Che non era un peluche, era uno strano animale, con due gambine e due braccette minuscole che spuntavano dal corpo tondo e peloso, due occhietti piccolissimi, una boccuccia a bocciolo di rosa, e a quanto sembrava, niente naso.
“Sono Bob, il Blob. Ho veramente fame.”
“Vieni in cucina, ti do’ un biscotto.”
“Biscotto? Non credo proprio!”
E Bob salto’ via, rimbalzando nel pianerottolo, e giu’ per le scale, fino al salotto, con Andrew che lo seguiva in preda al panico. I suoi genitori si sarebbero svegliati!
“Bob! Bob il Blob! Torna indietro!” sussurro’ Andrew, cercando di non farsi sentire.
Troppo tardi. Bob era gia’ in cucina con la testa – anzi, tutto il corpo – nel frigo. La sua bocca a bocciolo si era traformata in un paio di ganasce.
Yoghurt, latte, pomodori, formaggio, mousse al cioccolato, uova, e perfino un pollo crudo per il pranzo della domenica, Bob si fece fuori tutto.
“Mmmm. Mi sento meglio. Grazie.”
“Dobbiamo pulire tutto, se si sveglia mia mamma sono nei guai!”
“Non c’e’ tempo. Ci aspettano.”
“Cosa? Ci aspettano dove?”
“In giardino.”
Bob prese Andrew per mano, e prese la rincorsa verso la porta-finestra. Per un attimo, Andrew penso’ che ci sarebbero saltati dentro, ma invece l’attraversarono senza sforzo.
In giardino, ad attenderli, c’era un disco volante pieno di lucette blu e verdi che si accendevano e si spegnevano.
“Tutti a bordo!” disse Bob allegramente.
Bob si sistemo’ ai comandi, e presero il volo, su, su, sempre piu’ su...da quell’altezza le case sembravano fatte di Lego, e i laghi e i boschi le immagini di una mappa...
Andrew vide i grattacieli di Tokyo, le distese bianche dell’Artico, il deserto del Sahara e la Grande Muraglia cinese. “Ohhh...” E “Ahhh...” continuava a dire. Volarono sull’oceano, e videro le balene che saltavano...volarono sulla foresta dell’Amazzonia, e videro enormi cascate che si riversavano in fiumi ancora piu’ enormi...volarono sulla steppa, e videro un cielo infinito, pieno di stelle.
L’alba stava sorgendo sulla Scozia, quando tornarono a casa.
“Tornerai a trovarmi, Bob?”
“Ma certo. E ti portero’ a vedere il mio pianeta.”
Andrew e Bob si abbracciarono, e la pelliccia blu di Bob gli fece il solletico al naso.
In punta di piedi, si stava avviando verso la sua camera quando...
“ANDREW FOSTER! Chi si e’ mangiato l’intero contenuto del frigorifero?”
La mamma si era svegliata.


La tribu' dei nasi blu

La tribù dei nasi blù
"La tribù dei nasi blù"

Scritta per il nido Piccini Piccio', di Padova


C’era un volta, e credo ci sia ancora, un paese lontano lontano e un po’ magico, chiamato Scozia. In Scozia il mare e’ verde, e le colline sono viola. Chissa’, forse un giorno lo vedrai.

Nel paese magico di Scozia, in un villaggio vicino al mare, viveva un bambino di nome Charlie. Charlie amava molto il mare. Ogni giorno andava sulla spiaggia ad ascoltare i suoni del mondo attorno a se’. Ascoltava le onde, e il vento, e i gabbiani che volavano nel cielo nuvoloso...e ogni suono lo rendeva felice.

Il papa’ di Charlie suonava il violino, e a Charlie piaceva tanto ascoltarlo. Di tutti i suoni del mondo attorno a lui - il mare, il vento, i gabbiani – il suono del violino di suo papa’ era il suo preferito.

Charlie decise di imparare a suonare. Ogni giorno si esercitava, e sua mamma e suo papa’ erano molto orgogliosi.

Un giorno, i suoi vicini di casa, due bambini di nome Mary e Jamie, lo andarono a trovare.

“Noi siamo della Tribu’ dei Nasi Rossi. I bambini che vivono al di la’ del fiume sono la Tribu’ dei Nasi Verdi. Non andiamo d’accordo. Loro sono antipatici e cattivi, noi siamo piu’ forti e piu’ veloci. Tu vivi da questa parte del fiume. Devi essere un Naso Rosso come noi.”

Charlie non era sicuro. Voleva che Mary e Jamie fossero suoi amici, e gli piaceva l’idea di essere un Naso Rosso, ma non voleva essere nemico di nessuno. Conosceva due bambini che vivevano al di la’ del fiume, Ellie e Gregor, ed erano molto simpatici.

“Voglio essere vostro amico. Ma anche amico dei Nasi Verdi.”

“Non si puo’. Devi scegliere.”

“Perche’?”

“Perche’ e’ cosi’”.

Charlie ando’ a trovare Ellie e Gregor, dall’altra parte del fiume.

“Voglio essere vostro amico”.

“Non puoi. Vivi al di la’ del fiume, sei un Naso Rosso, non un Naso Verde.”

Charlie si senti’ triste. Non sapeva cosa fare.

Quella sera, mentre suo papa’ gli rimboccava le coperte, penso di chiedere consiglio.

“Non scegliere ne’ l’uno ne’ l’altro. Crea la tua tribu’.”

Charlie sorrise. Gli era venuta una bellissima idea.

Quella domenica, Charlie ando’ al parcogiochi con il suo violino, assieme a sua mamma e a suo papa’. Charlie e suo papa’ si misero a suonare, un suono cosi’ bello e dolce che i bambini di tutto il paese vennero ad ascoltarlo.

“Charlie, sei bravissimo! Vieni nella nostra tribu’!” disse Mary.

“No, non saro’ un Naso Rosso.”

“Vieni nella nostra! E’ vero che vivi al di la’ del fiume, ma sei cosi’ bravo! Diventa un Naso Verde!” disse Gregor.

“No, non saro’ un Naso Verde.”

“Se non sarai un Naso Verde ne’ un Naso Rosso, cosa sarai?”

“Me stesso. Un Naso Blu.” Disse Charlie, sorridendo.

“Anche noi, anche noi!” dissero all’unisono i bambini del paese.

“Ma i Nasi Blu sono al di qua o al di la’ del fiume?” chiese Ellie.

“I Nasi Blu sono tutti coloro che lo desiderano. Sono tutti i nostri amici!”.

Quella sera, nel villaggio, ci fu una grande festa. E tutti erano invitati, al di qua e al di la’ del fiume. Charlie suono’ il suo violino, e cantarono e ballarono finche’ fu ora di andare a dormire.


Daniela Sacerdoti, Glasgow, Febbraio 2011.